La recensione di ‘Spatriati’, il libro di Mario De Siati vincitore del premio Strega 2022
Lo ammetto: a me Desiati non piace!
Con questo libro, vincitore del premio Strega, ho voluto concedere all’autore una nuova occasione per cambiare idea sui suoi scritti ed invece ho finito per confermarla.
Pensavo di non scriverne affatto, ma non sarebbe stato onesto scrivere solo di libri che ci piacciono, o che consiglieremmo per unicità.
Nella vita ci si imbatte in pagine memorabili e pagine che saranno scordate il giorno dopo. Michela Murgia, scrittrice che apprezzo molto, teneva in radio una rubrica chiamata “la stroncatura”, nella quale parlava di libri che definiva ‘insulsi’. Ecco, quella che mi appresto a fare, con le dovute proporzioni con la Murgia, è una stroncatura.
Innanzitutto riguardo alla perenne rincorsa all’utilizzo di paroloni, che in questo caso non donano quella sensazione benefica di aver scoperto un nuovo termine, ma sottolineano la natura auto-referenziata di questa penna: <<E tirandosi i capelli indietro per irreggimentarli in un elastico bianco.>>
Il libro è disseminato di frasi a effetto che paiono costruite ad arte con l’intento di risultare profonde ed illuminanti, ma che in realtà arrivano come superficiali. Un esercizio di stile per nulla elegante, ma vacuo e ruffiano.
Veniamo al dunque, il libro di cosa parla? Non parla di nulla, non racconta nulla. E’ una lista di avvenimenti che coinvolgono due ragazzi che non sono né amici e né amanti, ma principalmente due figure evanescenti. Snob, i classici figli di papà che possono permettersi di studiare alla Bocconi e che ricevono come regalo una carta di credito con un milione di euro all’interno. Alla continua ricerca di loro stessi, continuamente insoddisfatti, capaci di concepire come massima trasgressione e anticonformismo un piercing, i capelli colorati, o lo strizzare l’occhio ai genderfluid.
In tutta onestà, la mia misura è colma riguardo a quanti fanno la morale agli altri, ben protetti dalle certezze del proprio orticello, e lo tollero ancor meno nei libri, che per me sono linfa vitale.
L’affetto profondo che lega a vita i due protagonisti viene raccontata dallo scrittore più di quanto non emerga dai loro dialoghi. I sentimenti, però, non vanno raccontati, piuttosto si fanno percepire. Il lettore dovrebbe sentirli fino a sentirsi bruciare la carne. Invece in Spatriati i dialoghi sono inconsistenti e i due personaggi noiosi, senza stimoli né per se stessi e né per gli altri: il nulla che avanza ed un capitalismo che ingoia la cultura.
Da grande appassionata della lettura comprendo profondamente l’amore di De Siati per i libri. Una notte sognai di morire e ricordo che provai più la preoccupazione di non trovare libri nel posto in cui sarei andata, che non della morte in sé. Sono alla costante ricerca di nuove letture e prendo voracemente nota delle frasi che più mi colpiscono, ma questo non fa di me una scrittrice.
Infine arriva il pezzo forte: le “Note dallo scrittoio o stanza degli spiriti”. Una raccolta di note in fondo al romanzo che hanno la pretesa di erudire il lettore riguardo alle citazioni fatte in precedenza. L’ho trovato fastidioso e saccente. Menzionare scrittori della nostra terra è stata, questa sì, una felice intuizione, ma occorre anche qui lasciare al lettore la curiosità e la voglia di approfondire, senza ergersi a detentore unico della conoscenza. E qui ritorna il tema per cui questo modo di scrivere risulta più funzionale all’autoreferenzialità dell’autore, che a chi investe il proprio tempo nel suo romanzo.
Come punto di forza segnalerei sicuramente il titolo. ‘Spatriato’ è il participio passato del verbo spatriare, che sta per andar via o, come dice la Treccani, cacciare dalla patria. In alcuni dialetti meridionali, tra cui il martinese, ha altre sfumature, come incerto, disorientato, ramingo, stordito, senza arte né parte, in alcuni casi persino orfano.”
Avendo vissuto per anni fuori dalla Puglia, capisco quel senso di solitudine e dolore ogni volta che si parte: <<La Puglia, Martina, i nostri cieli hanno queste maledette unghie affilate che ti artigliano, non si può andar via senza graffi.>>
Non solo da Martina Franca o dalla Puglia, come descrive il mio concittadino, ma allargherei il concetto a tutto il Sud. A me mancava proprio un immaginario, un’atmosfera. Pur non amando l’inglese, quando mi recavo all’aeroporto per partire, departures mi sembrava che descrivesse perfettamente il mio stato d’animo di dipartita, di morte.
Anche la parentesi berlinese dei due protagonisti mi ha fatto ripensare a questa città che è stata per me palestra di vita. Anche in questo caso, tuttavia, il racconto non è riuscito a strapparmi emozioni.
Per carità, è bello che ad aver vinto un premio prestigioso sia un conterraneo, ma riguardo al Premio Strega confesso di sentire sempre più vicino il pensiero di Pasolini: <<il premio Strega, così com’è, è un campo d’operazioni del più brutale consumismo.>>
Il capitalismo della cultura, da quando la cultura è diventata ‘industria’, non può che rilanciare libri qualitativamente mediocri.
Dato che Desiati attinge continuamente a poeti e scrittori, mi è venuta in mente una frase di Majakovskij che nei miei periodi da spatriata mi ripetevo sempre:
“Ma la terra con cui hai diviso il freddo
mai più potrai fare a meno di amarla.”
E mi riscaldava il cuore. Ve la dono, e questo libro non ve lo consiglio.
Buona crisi
Alessandra Convertino