“It”, un insospettabile libro formativo
Appena terminai questo capolavoro, che mi ha impegnata per diversi mesi, scrissi già questa recensione che ripropongo. È intima, ma forse quando i libri smuovono qualcosa dentro, bisogna ricorrere al proprio vissuto per essere capaci di spiegare il motivo per cui ne vale la pena.
Se qualcuno mi avesse detto che nella vita lo avrei letto, non ci avrei creduto. Ne ho sentito parlare bene (da persone che stimo), ma sono sempre stata scettica sia per la storia (che bene o male conosce tutta l’umanità) e sia perché appartenevo a coloro che reputavano questo scrittore commerciale. A 35anni, ho deciso di leggere It. Mi ha emozionata, ed è stato un viaggio nel mio passato. Mi ha seguita ovunque, per mesi. Sul lavoro, a mare… l’unico luogo dove non riesco a leggere, fungendo da cuscino.
Ha sorseggiato una birra con me, è venuto a Taranto. Ha passeggiato nella mia borsa (scelte ovviamente apposta per portarlo). È stato in banca, nelle sale d’attesa degli ospedali, insomma nonostante la mole, ovunque andassi mi seguiva.
Non è un libro horror come ho sempre pensato.
Io ho avuto una grande fortuna: un’infanzia con un fratello come Bill. Ha imbastito per me tutto un mondo fantastico e che accompagnava perfettamente la mia natura ribelle ed inquieta. Mi ha costruito case sull’albero del fico, capanne con arredamenti compresi. Ha creato un universo fatto di torte di terra, dove con le olive acerbe facevamo gli occhi dei nostri mostriciattoli nei sottovasi. Fatto di bici, cadute sul brecciolino, sfide con le biglie, rincorse alle papere (che scacazzano continuamente). Fatto di frutta mangiata dall’albero, di pinoli schiacciati con le pietre, di racconti. Se dovessi descriverlo con la consapevolezza di oggi: un grande piccolo genio! Insieme ai libri, la mia salvezza! Ed io ero un po’ George. Nutrivo (e nutro) un’adorazione e amore puro, estasiata da tutte quelle invenzioni.
It o Pennywise, il male, passa in secondo piano.
Le problematiche trattate sono molteplici, dal bullismo, alla violenza domestica, alle nevrosi trasmesse dai genitori ai figli. Il razzismo nei confronti dei neri e ebrei, l’omofobia, la violenza, le prime scoperte sulla masturbazione e le spiegazioni tra amici. Il dolore da parte di genitori che perdono un figlio. Il dolore di perdere un fratello.
“Aveva nostalgia del fratellino, questa era la verità. Aveva nostalgia della sua voce, del suo modo di ridere, del modo in cui gli occhi di George si alzavano talvolta a guardare con fiducia nei suoi, sicuri che Bill avrebbe avuto tutte le risposte desiderate. E un’altra cosa, la più strana di tutte: c’erano momenti in cui sentiva di amare George di più proprio della paura, perché anche quando era impaurito dalla brutta sensazione che ci fosse un George zombie nascosto nell’armadio o sotto il letto, ricordava di aver amato soprattutto George in quella stanza, dove George soprattutto aveva amato lui. Nello sforzo di conciliare queste due emozioni, amore e terrore, Bill sentiva di avvicinarsi al mistero dell’accettazione finale.”
Ciò che spicca è la bellezza. Questo libro è un inno alla vita, all’amicizia, alla lealtà. È un delicato racconto dell’amore tra fratelli, dell’unione degli ultimi per sconfiggere il male. La “banda dei perdenti” è poesia…
L’amore per i libri che ha Ben è il mio. Mentre viene picchiato a sangue da alcuni bulli, il suo pensiero va ai libri che ha preso in biblioteca e si stanno sgualcendo. Ho provato rabbia, dolore ed una enorme tenerezza. La “sfiga” che un po’ lo contraddistingue la sento mia. Ogni volta che ci penso mi viene in mente un ricordo: quando eravamo bambini, un’estate mio fratello si tagliò il dito del piede. Gli misero un punto e ricordo che lui chiedeva al dottore la colla. Come lo sapeva? Abbiamo trascorso molte estati con un procugino che cadendo continuamente, era un noto frequentatore dell’ospedale. Ci parlò dell’esistenza della colla, come sostituto dei punti. Ad ogni modo, mia zia comprò a mio fratello Dylan Dog e un gelato. Mi è capitato di pensare che un po’ mi sarebbe piaciuto avere un piccolo, piccolissimo taglio.
Un taglio da colla, un taglio nascosto alla società, ma esistente per i miei genitori. Ciò mi avrebbe dato la possibilità di avanzare delle richieste/regalo. Più che altro, mi piaceva l’idea di essere coccolata in quel modo estremo.
Quel pensiero stupido poi si è avverato. Sono caduta d’inverno, di mattina (quindi già un punto a favore sul non andare a scuola). Certo lo sfregio era in faccia, però mentre mi recavo al pronto soccorso nella mia testa mi ripetevo sempre e solo una frase “bellissimo non vado a scuola e chiedo la colla“. Come un mantra “chiedolacollachiedolacollachiedolacolla“.
Nulla, la colla non si poteva mettere, servivano assolutamente i punti e tanti. Ezio, il pro cugino avrebbe dovuto approfondire le limitazioni della colla. Echecazz, mi restava una sola ancora di salvezza: non si va a scuola! Appena il dottore termina la sua opera di cucito, dice a mia madre che per il punto in cui vi era il taglio, non dovevo dormire almeno per dodici ore e dovevo essere monitorata. Quale miglior modo di restare sveglia, se non quello di andare a scuola?!
Silenzio… ecco, quando penso alla sfiga, mi viene sempre in mente questo aneddoto!
La bici di Bill Tartaglia – soprannome dato per la sua balbuzie – mi ha fatto pensare alla bici che avevo io. Una bici tedesca, frenava rotando i pedali verso dietro. Io mi gasavo ad avere questa anomalia. La ricordo perfettamente come quella di Bill “opaca dove le altre luccicavano, diritta dove le altre erano curve, curva dove le altre erano diritte.”
Gli occhiali di Richie distrutti da dei bulli mi hanno ricordato gli occhiali di mio fratello. Li lasciò sul muretto sotto l’albero del pero e nonno Domenico (per noi Minguccio) si andò a sedere giusto giusto sopra.
Ho ricordato anche una mia maestra. Lei ha inciso tanto nella mia vita. Era la maestra della seconda scuola elementare che ho frequentato. Mi ha portata a mare, mi ha aperto casa sua e preparava le friselle con il pomodoro. L’ho cercata spesso, senza risultati, ma oggi la vorrei ringraziare con tutto l’amore che provo. Mi ha accolta, ha capito le mie difficoltà, mi ha resa indipendente e libera. Ha creduto in me anche se non studiavo molto. Vedeva in me del potenziale e me lo diceva. Ricordo perfettamente lei, le sue parole, il suo volto e la fiducia che mi riponeva. Io mi sono sentita riconosciuta!
La generosità di Richie è tenerissima. Falcia tutto il prato per avere i soldi per andare al cinema a vedere un film horror (mentre la realtà nella sua città è di gran lunga peggiore) e a due amichetti che non avevano la possibilità, si offre di pagare il biglietto. Nonostante il sacrificio costato, nonostante le lamentele del padre sul consumo dei soldi.
Questi ragazzini, in gruppo, sono cresciuti. Eddie, sopraffatto da una madre che lo ha colmato di fobie e sensi di colpa, ad un certo punto riesce a contrastarla:
“Nelle parole che le aveva detto, nel modo in cui si era comportato, c’era stato anche lui, ma non solo lui. Un’altra presenza, una forza, non malefica, ma era intimorito dalla sua intensità. Era come montare su una giostra al luna park e accorgersi che in effetti era pericoloso ma che era impossibile scendere finché non fosse finita la corsa“‘.
It è un pronome personale neutro. Può riferirsi a cose, animali, piante. Geniale la trovata, perché It non è un clown, ma rappresenta tutte le paure che ognuno di noi può provare. Ciascuna con forme e sembianze proprie, perché ognuno ha le sue.
It va letto. It andrebbe letto nelle scuole, It va letto dai ragazzini.
Questo libro ha anche un’altra poesia. Nasce da una sofferenza e un sacrificio enormi. King ha scritto con i tamponi nel naso ed epistassi. Questo libro nasce dalla disintossicazione dalla dipendenza di cocaina. Il suo IT in quel momento era la droga.
Mi è capitato, su un gruppo di lettura, di leggere che una donna lo avesse proibito al figlio undicenne che, dopo aver visto il film, lo richiedeva. Innanzitutto ho pensato che se io avessi un figlio undicenne che mi chiede un libro di 1200 pagine gli farei una statua, oltre ad esserne orgogliosa! Ho anche pensato che è più assurdo vedere un film del genere che leggerne il libro. E, senza alcun giudizio, ho consigliato di dargli questa opportunità. Probabilmente, se io lo avessi letto a quell’età, non si sarebbero mossi tutti questi ricordi, ma indubbiamente avrei vissuto diversamente alcune cose.
I libri hanno un grande potere, quello di questo libro è immenso. Spero che il piccolo undicenne lo abbia presto tra le mani. Forse è vittima di bullismo (e nella sua richiesta vi era questo), forse vuole fare il figo con gli amichetti (perché presentarsi coraggiosi di fronte alla paura che può fare un mostro è ganzo), forse cerca risposte ad alcune domande. Qualunque sia la motivazione, se lo leggerà, non sarà più lo stesso. Oppure, come facevo io, spero che accumuli la paghetta senza scordarsi di It!
Fatevi questo regalo, non fatevi spaventare dalla mole, donatevi questo capolavoro.