Lo strano caso del Procuratore Capristo
Il Procuratore della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capristo non ha mai voluto ricorrere alla Corte Costituzionale dopo le sentenze del 2013 e del 2018 sui decreti salva-Ilva, che davano un tempo al siderurgico, poi abbondantemente scaduto, per ottemperare alle prescrizioni dell’AIA.
È stato, infatti, esclusivamente il Giudice per le Indagini Preliminari, Benedetto Ruberto, a chiedere l’intervento della Corte Costituzionale, senza alcuna richiesta in tal senso avanzata dalla Procura della Repubblica di Taranto, benché potesse (e, a nostro avviso, dovesse) farlo.
Il Procuratore Capristo è stato l’artefice della “trattativa” fra la stessa Procura e Ilva in amministrazione straordinaria che nel 2017 portò alla proposta di patteggiamento che avrebbe dovuto consentire alla società di uscire dal maxi processo “ambiente svenduto“. L’operazione fu scongiurata anche grazie alla manifestazione che vide la nascita di Giustizia per Taranto il 25 febbraio 2017.
Il Procuratore Capristo è colui il quale, solo poche settimane fa, ha convocato un incontro, da noi ritenuto quanto mai inopportuno, con Mittal e le istituzioni locali, per tranquillizzare i tarantini sui nuovi dati riguardanti l’inquinamento.
L’incontro è stato definito dall’AD di Mittal “molto positivo e utile “ (e non abbiamo dubbi che per loro lo sia stato).
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Il Procuratore Capristo è ora indagato per abuso d’ufficio sul falso complotto ai danni dell’Eni, sulla base delle dichiarazioni dell’avv. Piero Amara, potente faccendiere coinvolto in diversi guai e depistaggi giudiziari in mezza Italia, sempre a cavallo fra grandi industrie e magistratura.
Le contestazioni di Amara si riferiscono al periodo in cui Capristo guidava la procura di Trani e sono legate alla vicenda del falso complotto per depistare le indagini dei pm di Milano sulle tangenti pagate dall’Eni in Nigeria.
Lo stesso Amara, pur non avendo avuto alcuna nomina formale, ha fatto sostanzialmente parte integrante dello staff legale scelto dai commissari straordinari dell’Ilva, partecipando di fatto alla trattativa che portò all’ok della Procura tarantina alla richiesta di patteggiamento dei difensori dei Riva. L’accordo fu bocciato dai giudici poiché quella prevista era una pena troppo bassa rispetto alla gravità delle accuse secondo la Corte d’assise di Taranto: un rigetto che, oltre a riportare nuovamente la società sotto processo, divenne anche una batosta per la procura ionica che aveva dato il suo ok alla richiesta di patteggiamento. Perentoria ed assai eloquente fu la sentenza dei togati: le pene concordate con i rappresentati della pubblica Accusa sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.
Non solo questo, però, nel suo passato, anche il coinvolgimento, senza essere indagato, nello scandalo nomine alle Procure giostrate da Luca Palamara. Quest’ultimo factotum di Unicost, corrente di centro della magistratura il quale è indagato dalla Procura di Perugia per corruzione, con l’accusa di aver venduto la sua funzione in cambio di denaro, viaggi, regali. Capristo compare fra i nomi per cui Palamara si sarebbe mosso per il suo incarico a Procuratore di Taranto, votato, fra l’altro, da quella che sarebbe diventata la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati.
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