Quattordicesima legge salva-Ilva, perché i governi si affannano a salvarla ad ogni costo
I motivi per cui tutti i governi continuano a produrre decreti salva-Ilva cercando di adeguare le norme alla realtà, anziché la realtà alle norme, sono essenzialmente due:
- Ridare alle banche i soldi che lo Stato chiese per finanziare il salvataggio della fabbrica (facendosi garante della restituzione dei crediti).
- Il siderurgico di Taranto serve agli altri produttori del Nord.
Rispetto al primo punto va detto che attualmente l’ex-Ilva è in costante perdita per cui, per farla tornare a livelli di profittabilità tali da restituire i soldi alle banche, occorre aumentare a dismisura la produzione. Cosa che attualmente non è possibile fare in assenza di garanzie ambientali e sanitarie degli impianti.
Sul secondo punto va fatta una premessa. A Taranto viene prodotto il 16% dell’acciaio nazionale, l’unico da ciclo integrale. Il restante 84% è acciaio secondario non prodotto dalle materie prime, ma mediante forni ad arco elettrico alimentati con rottame di ferro. Se anche Taranto eliminasse l’area a caldo per convertirsi ai forni elettrici non ci sarebbe rottame di ferro sufficiente per tutti i produttori. A ciò si aggiunge che i gas dell’area a caldo servono ad alimentare il resto della fabbrica e, dunque, a risparmiare.
Per questo i vari governi continuano a non prendere in considerazione la riconversione totale dello stabilimento (la cui salubrità sarebbe in ogni caso tutta da verificare).
I margini di manovra per l’Esecutivo sono, tuttavia, molto ristretti, perché i fondi europei possono essere impiegati unicamente per la riconversione a gas, o idrogeno, degli impianti e non a riammodernare quelli esistenti.
L’altro motivo per cui i margini sono ridotti è perché la Magistratura ha posto seri dubbi sul fatto che anche il rispetto dell’AIA 2012 (non ancora completata) potrà garantire livelli di salubrità accettabili.
A complicare il quadro ci sarebbero poi le nuove indagini che aleggiano in Procura sulle modalità di esecuzione delle opere del Piano ambientale stesso, cioè quelle già realizzate e mediante le quali si cercherà di revocare il sequestro ancora pendente.
Il nuovo decreto, che verrà convertito in legge a inizio marzo (la quattordicesima salva-Ilva) mira proprio a questo: a garantire la prosecuzione della produzione anche nel caso di nuovi procedimenti legali a danno di Acciaierie d’Italia. In tal modo provando a mettere in sicurezza l’accordo con Mittal, vincolato proprio al dissequestro degli impianti dell’area a caldo. Circostanza che darebbe poi modo di finanziare, attraverso le banche, la liquidità di cui necessita.
Di fatto un’usurpazione del potere autonomo della magistratura.
L’area a caldo diventa perciò cruciale nella battaglia dei tarantini: perché per il Governo è necessaria ed è quella che si mira a sbloccare per calpestare le nostre vite.
Taranto viene nuovamente e pesantemente trattata come terra di sacrificio per la finanza e per le industrie del Paese.
Per tutto questo domani alle 10 saremo nuovamente in strada, sotto alla Prefettura, rappresentanza del Governo sul territorio. Per ribadire che Taranto e i tarantini vengono prima di ogni profitto. Per sostenere la Magistratura nella sua azione per la tutela del diritto alla vita e alla salute della nostra comunità.
Per chiudere definitivamente con la pagina drammatica di una siderurgia predatoria e assassina e affinché i fondi disponibili vengano usati per la riconversione del territorio ed il reimpiego dei lavoratori e non, ancora una volta, per salvare una fabbrica che non restituisce più nulla di buono alla città: dal punto di vista ambientale e sanitario, come da quello economico e occupazionale. A tutto questo è ora di dire basta!