“Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?”
Se penso all’amore che nutro per i libri, penso a queste parole. Quando mi è stata data la possibilità di curare questo spazio, mi sono sentita onorata ed emozionata. Ho pensato molto a quale potesse essere il libro di partenza e credo che la mia scelta sia stata condizionata dal periodo storico che ci troviamo a vivere, oltre alla gratitudine che provo per questi due testi.
Ci troviamo a vivere un tempo sospeso e sperimentiamo varie privazioni che minano un po’ il nostro essere. Osservando la mia libreria in cerca d’ispirazione, tutto mi portava alla bellezza della libertà di scegliersi un libro e poterlo leggere, di avere uno spazio virtuale e no, per parlarne. Perché nella letteratura non cerchiamo la realtà, ma un’epifania della verità.
Non potevo non pensare, e con tutta me stessa voler consigliare, “Leggere Lolita a Teheran”. Scegliendo questo libro, in un consiglio, sto racchiudendo due perle: “Lolita” di Nabokov e, appunto, “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi.
Lolita, generò scandalo per il tema trattato e fu più volte rifiutato dalle case editrici. Anche per chi non lo ha letto è familiare il titolo ed evoca nell’immaginario comune una ragazzina provocante e immatura. Narra della passione ossessiva e ingestibile di un uomo adulto, un professore, nei confronti di un’acerba ragazzina.
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta.”
Quale lettore, non si è soffermato a pronunciare il suo nome per sentire la lingua sul palato e facendolo non ha sentito la bellezza di questa descrizione. Quando una passione è così forte che ogni parte del corpo ne è impregnata, quando uno scrittore è così bravo da riuscire a trasmettere ciò con le parole.
Premessa doverosa, per addentrarci nel secondo libro. Mi sono chiesta cosa possa significare effettivamente leggere Lolita a Teheran e quanto potere abbiano i libri per essere addirittura proibiti in alcuni luoghi. Pensiamo che a Guantanamo non possono entrare libri come Cenerentola o Delitto e Castigo. Invece, il Processo di Kafka è concesso. Come ha notato Amnesty International, il protagonista de Il Processo, Josef K, viene arrestato e processato senza mai conoscere le accuse a suo carico.
Forse per trovare una vicinanza, in modo da pensare che quella sia la normalità, per instillare quella passiva accettazione, l’ineluttabilità di una giustizia che si presenta con sue logiche private.
Leggere questo libro, non è solo regalarsi delle grandi pagine, ma è un atto di rivendicazione del diritto d’immaginare.
Azar Nafisi è una docente universitaria che a partire dalla Rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini nel ’79 fino alla fine degli anni ’90 vive enormi difficoltà ad insegnare letteratura, un’ambiente sempre più radicale, libri proibiti, musica inascoltabile e parole inaccessibili.
E cosa fa? Rinuncia alla trasmissione di alcuni saperi? All’inizio rifiuta d’insegnare, se non può essere libera come può trasmettere ai suoi studenti la passione e l’amore per la letteratura?
Poi però decide di cimentarsi in un’impresa ardua, organizza delle riunioni segrete, ogni giovedì in casa sua, per poter leggere e commentare liberamente autori proibiti dal regime.
A queste giovani donne insegna, partendo dai libri, ad analizzare la loro situazione politica, ad avere senso critico ad essere osservatrici attente perché “fin dal primo giorno di scuola erano state educate a imparare tutto a memoria, perché le loro opinioni non contavano niente”.
Come Lolita, queste donne iniziano a creare un loro piccolo spazio di libertà. E come Lolita sfruttavano ogni occasione per esibire la loro insubordinazione: lasciando spuntare una ciocca di capelli dal velo, insinuando un po’ di colore nella smorta uniformità delle loro divise, innamorandosi e ascoltando musica proibita.
Solo attraverso la letteratura ci si può mettere nei panni di qualcun altro, comprenderlo negli aspetti più reconditi e contradditori del suo carattere ed evitare così di emettere condanne troppo severe.
Come dice Azar, un romanzo non è un’allegoria, è l’esperienza sensoriale di un altro mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai ad indentificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro.
E’ così che si legge un romanzo, come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni.
Io mi sono sentita parte di loro. Mi sono seduta attorno ad un tavolino, ho sorseggiato del thè e mangiato dei pasticcini. Sono entrata in quella casa conscia della pericolosità e della grandezza di quegl’incontri. Ho tolto lo chador, ho osservato un soggiorno che lentamente si trasformava nel regno della libertà più assoluta, facendomi beffa di chiunque tenti d’interdire. Ho osservato, insieme ad ognuna di loro, come il banale ciottolo della vita quotidiana, se guardato attraverso l’occhio magico della letteratura, si trasforma in pietra preziosa.
Questo libro, parafrasando Joyce, è una “pietra d’inciampo sociale”.
Vorrei associare a questo libro, un film. Si chiama “I Gatti Persiani” ed è ambientato anch’esso in Iran.
Ve lo consiglio per diversi motivi, oltre al fatto che è bello. Voglio raccontare un aneddoto che dimostra come, a volte, la realtà superi anche la finzione più grottesca.
Fino al 1994, il responsabile della censura cinematografica in Iran era un cieco. Un’assistente gli spiegava quanto succedeva e prendeva nota delle parti che andavano tagliate.
Con i mullah al potere, dovevano osservare il mondo attraverso le lenti opache di un censore cieco. Ecco, consiglio questo libro e questo film perché sono stati il tentativo di sottrarsi allo sguardo cieco.