Beni Culturali: il nuovo corso della Soprintendenza a Taranto
Con la nomina e l’insediamento nelle scorse settimane della direttrice, la professoressa Barbara Davidde, è entrata nella piena funzionalità la Soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo. Il nuovo ufficio colma un vuoto subito dalla cittadinanza come una vera e propria ferita inferta alla sua lunga tradizione culturale: il “dirottamento” verso Lecce dell’ex Soprintendenza Archeologica della Puglia, che a seguito di una discussa riforma degli organi periferici del Ministero era stata in sostanza scissa in tre sedi, ognuna con competenze “olistiche” si disse a suo tempo, cioè che comprendevano la tutela anche delle “belle arti” e del paesaggio. Era il gennaio del 2016, e a Taranto si organizzarono perfino manifestazioni di piazza a difesa dello storico e prestigioso Istituto; un evento probabilmente senza precedenti in Italia.
Il nuovo ente, come il MArTa dotato di autonomia speciale, eredita le sedi del convento di San Domenico in via Duomo e del restaurato ex carcere di via Viola, già occupato quest’ultimo da depositi e laboratori, svolgendo nella provincia di Taranto anche il ruolo di Soprintendenza unica per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio. Un passaggio questo importante, che consente di “ricucire” un legame operativo fra l’ufficio e chi lavora sul territorio, non solo in ambito archeologico. Alla sede centrale nazionale di Taranto si affiancheranno i distaccamenti di Napoli e Venezia, con specifiche competenze. Nonostante l’indubbia positività della notizia, restano tuttavia alcuni importanti nodi da sciogliere, in relazione soprattutto alla ormai cronica carenza di personale di cui soffrono tutti gli uffici del Ministero da poco denominato “della Cultura”. Andrà poi verificata “de facto” la sempre tanto auspicata “sinergia” che la comunità, non solo a livello locale, chiede agli istituti che operano sul territorio, in passato mai davvero compiuta nonostante l’impegno dei singoli protagonisti a superare i limiti spesso imposti dalla burocrazia. I segnali di positivo cambiamento non sembrano mancare nemmeno in questo senso, ma è forse ancora presto per coglierne significativi frutti. È in ogni caso questa una occasione da non perdere per Taranto, che deve dimostrare attraverso la sua società civile di saper difendere le proprie istituzioni culturali non solo quando sono in pericolo di chiusura o trasferimento, ma nella operatività quotidiana, svolgendo quel ruolo di stimolo e di critica determinante per la crescita della comunità.