Tre giorni al nuovo accordo fra Stato e ArcelorMittal
Ciò di cui si parla ancora poco riguardo alla produzione siderurgica è lo smaltimento dei rifiuti. Negli scorsi anni il nostro territorio non è stato avvelenato solo da polveri e fumi, ma da montagne di scorie, loppe, altofondenti e refrattari provenienti dai continui rifacimenti delle siviere, paiole, carri siluri e altro ancora. Quelli provenienti dai rifacimenti Afo sono al cromo esavalente e radioattivi dai radio isotopi. La produzione dei rifiuti solidi pesa il 50% della produzione di acciaio. L’ex Ilva è peraltro ancora piena di amianto. Sono state riempite le cave Lamastuola, la Mater Gratiae, la cava Cementir e altre piccole cave, per non parlare di come sono stati riempiti gli ettari del molo polisettoriale dell’area ex Belleli e di come si intendeva allungarsi verso punta Rondinella. Il piano industriale del Governo per il rilancio della fabbrica prevede un ritorno alla produzione di 8 mln di tonnellate di acciaio all’anno che ne produrranno altre montagne che non si sa come ancora verranno smaltite.E’ un’altra delle gravissime criticità di una fabbrica ormai fuori dalla storia industriale di questo secolo e che produce enormi danni sanitari ed ambientali, cui non corrispondono più benefici occupazionali ed economici. La crisi pluriennale della fabbrica doveva essere l’imperdibile occasione per cambiare pagina al nostro territorio. Lo si potrebbe fare se ci fosse la volontà politica di farlo, specie se si considera che i costi di questo scellerato salvataggio sono assai superiori alla riconversione che la città chiede da tempo.I fondi europei di cui l’Italia è a caccia per l’ex Ilva vengano impiegati per questo: il risanamento del territorio, la salvaguardia dei redditi dei lavoratori e la loro riqualificazione per le bonifiche. Un altro futuro è possibile, ma occorre volerlo.