Ex-Ilva, si continua a lanciare la palla più in là senza risolvere nulla
Dopo il Ministro per lo Sviluppo economico Patuanelli, anche il Presidente del Consiglio Conte boccia il piano industriale di Mittal. Al coro si unisce anche la Regione Puglia.
Facile, molto facile così: Mittal vuole licenziare metà della forza lavoro e rilevare gratis gli impianti, praticamente non si poteva fare altro che rispedire il piano al mittente. Sul piano ambientale e le sue decennali deroghe non una parola, ma sugli sconti alla vendita e i licenziamenti si alzano le barricate, almeno fin quando terranno.
Tutto questo conferma che avevamo visto giusto quando sostenevamo che la vendita era necessaria per restituire alle banche quanto investito per salvare il siderurgico, perché il disappunto del Governo si solleva solo ora che Mittal non vuol tirare fuori il miliardo e ottocento pattuito e da girare agli istituti di credito.
I licenziamenti invece sono una questione elettorale, niente di più: Conte e la sua compagine di governo vedrebbero indebolirsi la loro posizione di fronte all’elettorato e devono scongiurarli alla meno peggio, senza alcuna visione di medio periodo.
Dunque la soluzione migliore resta quella che prospettiamo da sempre, ossia chiudere la fabbrica e riconvertire il territorio riqualificando e impiegando la forza lavoro di Ilva, facendo leva sui fondi europei a disposizione. Con meno soldi di quanti se ne stiano spendendo per questo assurdo salvataggio, si farebbe ripartire l’economia, l’occupazione e l‘ambiente, ma niente! Lo Stato come piano B ha unicamente l’idea di entrare nel capitale sociale di Ilva attraverso la controllata del Ministero dell’Economia, Invitalia, sperando che gli si affianchi un altro colosso dell’acciaio. Nessun privato terrebbe in marcia quella fabbrica con 10.000 occupati e così la presenza dello Stato servirebbe a gonfiare l’occupazione e produrre più acciaio di ciò che realmente serve, con tutte le implicazioni sanitarie ed ambientali di cui, però, non importa assolutamente nulla. Insomma la soluzione prospettata è una bolla pronta a scoppiare un po’ più in là, contro ogni legge dell’economia e del mercato.
Ma è così che ragiona la politica in Italia: basta scaricare il problema sul Governo che verrà dopo.
Per questo l’interesse di Taranto possiamo tutelarlo solo noi tarantini e pretendere che si chiuda con questa stagione drammatica, per aprirne una nuova, con gli stessi fondi che si intende sperperare per salvare quella fabbrica morente.