In centinaia per il film che fa cadere la maschera a Mittal
Partecipazione straordinaria ieri per la proiezione del film “Mittal, la face cachée de l’Empire” in anteprima nazionale al quartiere Tamburi. “Illuminante” è stato il commento più ricorrente del pubblico intervenuto nel dibattito finale col regista, Pinuccio e l’ideatrice dell’evento Ilaria Lupo.
In effetti il documentario ha rivelato impietosamente il modus operandi predatorio e cinico del colosso mondiale della siderurgia dal punto di vista economico e occupazionale, rendendo chiara la visione globale entro la quale Taranto si colloca nel gruppo. La massimizzazione del profitto e la generazione di valore per gli azionisti sono i mantra dell’imprenditoria ormai devota alla finanza ed a cui Mittal si è pienamente conformato.
Il film ha il ritmo dell’inchiesta e, come tale, ha tenuto alta l’attenzione dei presenti per tutti i suoi 90 minuti. Anche delle tante persone che sono dovute restare in piedi a causa dell’eccezionale affluenza. Un’attenzione verso il tema molto importante, che riteniamo non abbia tradito le attese di chi voleva accrescere ulteriormente il suo grado di consapevolezza riguardo alla situazione tarantina. L’idea di Ilaria Lupo, infatti, ha avuto il grande merito di fornire una vista globale ad un problema locale, dando modo di osservare cosa è accaduto nei paesi in cui Mittal opera. Ovunque proteste, promesse non mantenute, drammi sociali ed ambientali. Questi ultimi, per la verità, non erano oggetto del racconto del film, il cui taglio era prettamente economico. Diverso anche il punto di vista delle problematiche osservate, rispetto a quello della nostra comunità.
Spesso, nei luoghi in cui opera Arcelor-Mittal, si assiste a chiusure di fabbriche e tagli occupazionali senza scrupoli, laddove non sostenuti da massimo profitto. Con Governi e illustri capi di stato che, dopo aver fatto da sponda alle acquisizioni, obnubilati dalla possibilità di fare delle promesse di occupazione un successo da spendere politicamente, finiscono per collocarsi in posizione di assoluta soggiogazione rispetto ai meccanismi del capitale che essi stessi hanno favorito.
A Taranto gli ingranaggi politici sono stati identici, ma il punto di vista della comunità è diverso: anche chi attribuisce all’occupazione un peso tale per cui sottostare a ricatto, è ben consapevole delle privazioni sociali, ambientali ed economiche cui le fabbriche inquinanti la sottopongono e chiede un’inversione decisa di rotta.
Da qui le calde sollecitazioni al regista, Jerome Fritel, di prevedere un sequel del film con un capitolo tarantino che, di suo basterebbe per un ulteriore pellicola. Ipotesi da non escludere, considerata l’attenzione rivolta al caso Taranto da Fritel, il quale è rimasto addirittura sconcertato dagli unicum legislativi adoperati per la fabbrica tarantina.
I meccanismi svelati dal film però sono limpidi e parlano di acquisizioni di massa di fabbriche decadenti al fine di spremerle oltre il loro ciclo vitale naturale, per poi disfarsene senza scrupoli non appena rendono meno dell’atteso. Tutto questo lastricando il suo percorso di promesse sociali, ambientali ed occupazionali mancate. Una visione dunque che ha reso evidenti e pressanti tutti i molteplici motivi per cui programmare la riconversione del territorio. Prima che questa miopia diventi dramma sociale, come avvenuto in tante parti del mondo in cui opera il magnate dell’acciaio e di cui ieri abbiamo avuto chiara evidenza.
Nota a margine: a poche ore dalla proiezione del docu-film con sfondo sugli sbuffi veleniferi della fabbrica, sui suoi stupri paesaggistici ed emblematicamente allestita accanto al cimitero comunale, l’azienda ha sentito la necessità di emanare un lungo comunicato stampa per screditare il film stesso. Con un evidente scopo strumentale, che altro non ha fatto che confermarci che le preoccupazioni di Mittal siano più rivolte all’immagine ed alla comunicazione, che ai fatti reali ed alle persone.